Proposta Radicale 13 2023
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Saggio

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La mia religione

di Lev Tolstoj (a cura di Guido Biancardi)

(pubblichiamo di seguito la quarta parte dell’opera, inedita per l’Italia, de “La mia religione” di Lev Tolstoj

In tale incomprensione ero pervenuto ad un accecamento stupefacente. Per darne un esempio, citerò la mia vecchia interpretazione delle parole: “Non giudicate mai, affinché non siate giudicati” (Matteo, VII,1). “Non condannate affatto e non sarete condannati” (Luca, VI,37). Nella mia testa, i tribunali ai quali prendevo parte e che proteggevano la mia proprietà e sicurezza erano così indubitabilmente delle istituzioni sacre conformi alla legge di Dio che questa massima non poteva significare altro che la proibizione di condannare a parole il prossimo: che il Cristo abbia potuto, in questa parole evocare i tribunali (il tribunale dello zemstvo, e la Camera del diritto comune, ed i tribunali di distretto, i giudizi di pace ed altri senati e ministeri) non mi ha nemmeno sfiorato la mente. È unicamente quando ho compreso il senso originario delle parole sulla non-resistenza al malvagio che ho potuto pormi la questione dell’atteggiamento del Cristo riguardo tutti questi tribunali e ministeri. Ed avendo compreso che non poteva che rifiutarli, mi sono domandato: e se ciò volesse significare non solo l’interdizione di condannare il prossimo a parole ma anche quella di giudicare il proprio prossimo in istituzioni umane? In san Luca, nel capitolo IV, nei versetti dal 37 al 49, queste parole sono dette immediatamente dopo la massima sulla non-resistenza al male ed il comandamento di rispondere al male con il bene. Appena dopo le parole: “Siate dunque misericordiosi”, vien detto: “Non giudicate affatto, e voi non sarete giudicati, non condannate e voi non sarete condannati”. Ciò non significa forse non solamente che non bisogna affatto giudicare il proprio prossimo a parole, ma anche che non si deve affatto istituire dei tribunali per giudicarvi il nostro prossimo?, mi domandai più tardi. Ed è bastato che tale domanda sia stata posta perché il mio cuore ed il buon senso rispondessero affermativamente.

So quanto questa interpretazione sembri all’inizio stupefacente. Ha sconvolto anche me stesso. Per dimostrare quanto ne fossi lontano confesserò una vergognosa sciocchezza. Quando ero già divenuto credente e m’ero messo a leggere il Vangelo riconoscendolo come un libro divino, avevo l’abitudine di dire incontrando i miei amici procuratori o giudici: “Voi giudicate sempre”, mentre è detto: “Non giudicate affatto e non sarete giudicati”. Ero talmente persuaso che quelle parole non potessero significare altro che la proibizione di dire male del prossimo da non vedere la terribile blasfemìa che stavo commettendo dicendolo, Ci ero arrivato a forza di prendere quelle parole per altro da ciò che significavano, a citarne il vero senso in guisa di scherzo.

Racconterò minuziosamente come sono giunto a non più dubitare che queste parole non possano essere comprese che come un divieto del Cristo ad istituire un giudizio umano, poiché tali parole non potevano significare altro.

La prima cosa che mi ha colpito quando ho compreso il comandamento di non-resistenza al male nel suo senso primo, era che non solamente i tribunali umani non sono conformi a questo comandamento, ma che gli sono contrari, che essi contraddicono il senso del cristianesimo, e che se il Cristo avesse pensato ai tribunali li avrebbe certamente rifiutati. Cristo dice: non resistete al malvagio. Ora, l’obiettivo dei tribunali è di resistere al malvagio. Cristo prescrive di rispondere al male con il bene. I tribunali rispondono al male con il male. Cristo dice di non fare differenze fra buoni e cattivi. I tribunali non fanno che stabilire tale differenza. Cristo dice di perdonare a tutti: non solo una volta, né sette volte, ma senza fine. Di amare i propri nemici, di fare del bene a coloro che ci odiano. I tribunali non perdonano, essi castigano, essi fanno del male a coloro che chiamano i nemici della società. Sarebbe stato logico che il Cristo vietasse i tribunali. Ma può darsi, mi son detto, il Cristo non ha avuto a che fare con dei tribunali umani, che non ci avesse nemmeno pensato. È impossibile, poiché dal giorno della sua nascita sino alla morte, il Cristo si è confrontato con i tribunali d’Erode, del sinedrio e dei grandi sacerdoti. Ed ho visto in effetti che a più riprese il Cristo ha parlato dei tribunali come di un male. Ha detto ai suoi discepoli che sarebbero stati giudicati, ha loro indicato quale dovesse essere la loro condotta durante il processo. A proposito di se stesso, ha detto che sarebbe stato condannato ed ha mostrato con il suo esempio quale atteggiamento si dovesse prendere nei confronti di un giudizio umano.

Il Cristo ha dunque pensato ai tribunali umani che stavano per condannarli, lui ed i suoi discepoli, e che condannavano ed avrebbero condannato milioni d’uomini. Cristo vedeva quel male, e l’ha additato chiaramente. Durante il giudizio della prostituta, egli ha contestato il verdetto mostrando che l’uomo non può giudicare poiché è lui stesso colpevole. Questo stesso pensiero è stato espresso da lui a più riprese quando ha detto che un occhio che sopportava una trave non poteva vedere la pagliuzza nell’occhio di un altro, che un cieco non poteva guidare un altro cieco. Ha anche spiegato ciò che questi errori comportavano: che il discepolo diventerebbe come il suo maestro.

Nel suo sermone della montagna, in cui si rivolge a tutti, è detto: “E se qualcuno vuole intentar causa contro di te, e prenderti la tunica, lasciagli anche il tuo mantello”. Questo vuol dire che egli vieta a tutti di intentare causa. Ma può darsi che il Cristo parli solo di un atteggiamento personale di ciascun uomo nei riguardi dei tribunali, ma non neghi la giustizia umana in quanto tale ed ammetta in una società cristiana l’esistenza di persone che giudicano gli altri in speciali istituzioni? Ora, ho visto che anche ciò era da escludere. Nella preghiere che ci dà, il Cristo ordina a tutti gli uomini senza eccezione di perdonare agli altri affinché i propri errori siano loro perdonati. Per di più, secondo San Luca, non dice solo: “Non giudicate”; dice ben di più: “Non giudicate affatto e non condannate affatto”. Deve esserci una ragione perché questa parola, che ha praticamente lo stesso senso, sia stata aggiunta. Questa aggiunta non può avere che un solo obiettivo: il chiarimento del senso della prima parola. Se avesse voluto dire: non dite male del vostro prossimo avrebbe senza dubbio aggiunto la parola “vicino”, ma al posto di questa egli aggiunge una parola che si traduce in russo “non condannate affatto”. Poi dice: “E voi non sarete condannati, perdonate a tutti e sarete perdonati”.

Ritorna su questa idea a più riprese. Questo vuol dire che ogni uomo nel momento di pregare o prima di fare un’offerta, deve perdonare sempre a tutti. Come dunque un uomo che per la sua fede deve perdonare sempre a tutti potrebbe giudicare e condannare? Ho dunque visto che, in seguito all’insegnamento di Cristo, non ci poteva essere un giudice cristiano che castigasse. Ma può darsi che il Cristo non avesse pensato ai tribunali dicendo quello, ed è il mio pensiero che io cerco attraverso le sue parole che hanno infatti tutto un altro senso? Ho consultato i primi discepoli del Cristo, gli apostoli, per vedere come essi considerassero i tribunali umani, se li riconoscessero, se li approvassero.

Nel capitolo IV dell’epistola della’ apostolo Giacomo, nel versetto 11, si può leggere: “Non parlate affatto male gli uni degli altri, fratelli. Colui che parla male di un fratello, o che giudica suo fratello, parla male della legge e giudica la legge. Ora, se giudichi la legge non sei un osservante della legge, ma ne sei giudice. Uno solo è legislatore e giudice, è colui che può salvare e perdere; ma tu, chi sei tu che giudichi il prossimo?”.

La parola tradotta come: “Parlar male” è, in greco, la parola Καταλάλεα. Anche senza bisogno di aprire un dizionario si indovina che essa significa “accusare”. Ed è proprio così e ciascuno può assicurarsene consultando il dizionario. Ora, nella traduzione, si legge “Colui che parla male di suo fratello, parla male della legge”. Non si può fare a meno di domandarsi: perché? Posso dire la peggior cosa di mio fratello e con questo non dico altrettanto della legge; in compenso, se accuso e giudico mio fratello in tribunale è chiaro che con ciò stesso accuso la legge del Cristo, che vuol dire che io considero la legge del Cristo come insufficiente; accuso e giudico la legge. È evidente che non osservo più la legge, la giudico. Ora il giudice, detto il Cristo è colui che può salvare. Come, dunque, senza essere capace di salvare, sarei io giudice, potrei castigare?

Tutto questo passaggio parla del giudizio umano e lo ricusa. Tutta questa epistola è penetrata da una sola idea. In questa stessa epistola di San Giacomo (capitolo II, da 1 a 13) è detto: 1) Fratelli miei, che la vostra fede nel nostro glorioso signore Gesù-Cristo sia esente da ogni parzialità. 2) Supponete, in effetti, che entri nella vostra assemblea un uomo con un anello d’oro ed un abito magnifico e che vi entri anche un povero miseramente vestito. 3) Se, rivolgendo i vostri sguardi verso colui che porta il magnifico abito voi gli dite: Tu, siedi qui in questo posto d’onore! E se dite al povero: Tu resta in piedi, là! Oppure: siediti sotto la mia pedana! 4) Non fate in voi stessi una distinzione, e non giudicate sotto l’influsso di pensieri malvagi? 5) Ascoltate fratelli miei beneamati: Dio non ha scelto i poveri agli occhi del mondo perché essi siano ricchi nella fede ed eredi del regno che egli ha promesso a coloro che lo amano? 6) E voi, voi avvilite il povero! Non sono forse i ricchi che vi opprimono e che vi trascinano davanti ai tribunali? 7) Non sono loro che oltraggiano il buon nome che voi portate? 8) Se adempirete le legge sovrana, secondo la Scrittura: amerai il tuo prossimo come te stesso (Levitico, XIX, 18) fate bene. 9) Ma se fate eccezione di persone voi commettete un peccato, siete condannati dalla legge come trasgressori. 10) Giacché chiunque osserva tutta la legge, ma pecca contro un solo comandamento diventa colpevole di tutti. 11) In effetti, colui che ha detto: tu non commetterai affatto adulterio ha anche detto: tu non ucciderai affatto. Ora, se non commetti affatto adulterio, ma commetti un omicidio tu diventi trasgressore della legge (Deuteronomio, XXII,22; Levitico, XVIII, da 17 a 25). 12) Parlate ed agite come se voi doveste essere giudicati da una legge di libertà 13) poiché il giudizio è senza misericordia per colui che non ha agito misericordiosamente.

La misericordia trionfa del giudizio. Queste ultime parole furono spesso tradotte come “La misericordia è al di sopra del giudizio”, nel senso che un giudizio cristiano può esistere, ma che deve essere misericordioso.

Giacobbe persuade i suoi fratelli di non fare distinzioni fra gli uomini. Se voi fate una distinzione fra gli uomini, allora (in greco, “δίάδχρίβετε”), voi fate una distinzione in voi stessi, vi dividete, come lo fanno in un tribunale i giudici i cui pensieri sono cattivi. Avete giudicato che un mendicante fosse meno di un ricco. Ora, è l’inverso: il ricco è il peggio. È lui che vi opprime e che vi trascina nei tribunali, Se vivete secondo la legge dell’amore verso il prossimo, la legge della misericordia (che, a differenza di ogni altra, Giacobbe chiama sovrana), è bene. Ma se voi non siete imparziali, se fate distinzione fra le persone diventate dei trasgressori della legge della misericordia. E, pensando senza dubbio all’esempio della prostituta che è stata condotta verso il Cristo per lapidarla, oppure all’adultera in generale, Giacobbe dice che colui che mette a morte una prostituta sarà colpevole di crimine, ed avrà infranto la legge eterna. Poiché questa stessa legge eterna vieta l’omicidio allo stesso modo in cui vieta l’adulterio. Dice: agite dunque come se doveste essere giudicati da una legge di libertà. Poiché non c’è misericordia per colui che non è stato misericordioso; perché la misericordia annulla il giudizio.

Leggendo l’apostolo Paolo che ha sofferto i tribunali trovo nel primissimo capitolo dell’epistola ai Romani una esortazione indirizzata ai Romani per tutti i loro vizi ed i loro errori e specialmente per i loro tribunali (32): “E, sebbene conoscano il giudizio di Dio, dichiarando degni di morte coloro che commettono tali cose, non solo essi le fanno, ma approvano coloro che le fanno”. Capitolo 2,1). O uomo, chiunque tu sia, tu che giudichi, tu sei dunque inescusabile; poiché, giudicando gli altri, tu condanni te stesso poiché solo il giudizio di Dio contro coloro che commettono tali cose è secondo verità. 3) E pensi tu, o uomo, che giudichi chi commette tali cose, e che le fai, che tu sfuggirai al giudizio di Dio? 4) O disprezzi i tesori della sua bontà, della sua sapienza e della sua longanimità, non riconoscendo che la bontà di Dio ti spinge al pentimento? L’apostolo Paolo dice: pur conoscendo il giusto giudizio di Dio, essi commettono l’ingiustizia ed insegnano ad altri ad agire come loro, è per questo che un uomo che giudica è inescusabile.

Tale è dunque l’atteggiamento contrario ai tribunali che trovo nelle epistole degli apostoli; e nella loro vita, lo sappiamo tutti, i tribunali degli uomini erano per loro un male, uno scandalo che occorreva sopportare con fermezza e fidando nella volontà di Dio.

Quando ci si immagina la situazione dei primi cristiani fra i pagani, ciascuno comprenderà facilmente che non poteva venire in mente ai cristiani, essi stessi perseguitati da tribunali umani, di interdire questi ultimi. Non potevano che citare ad ogni possibile occasione questo male che essi rimettevano in questione; ed è ciò che hanno fatto. Consultando i padri della Chiesa dei primi secoli, ho visto che il loro insegnamento si distingueva per il fatto che non forzavano nessuno a nulla, che non giudicavano nessuno (Atenagora, Origene), che non castigavano nessuno, ma che sopportavano i tormenti che facevano loro subire i tribunali degli uomini. Tutti i martiri hanno seguito questa strada. Vedo che tutta la cristianità sino a Costantino non ha mai considerato i tribunali altrimenti che come un male che bisognava sopportare con pazienza, ma che, mai, alcun cristiano di quell’epoca potesse nemmeno ipotizzare l’idea che un cristiano partecipasse ad un tribunale.

Ho visto che le parole del Cristo: “Non giudicate affatto e non sarete affatto giudicati”, sono state capite dai primi discepoli esattamente come io le capisco oggi, nel loro primo senso: “Non giudicate affatto nei tribunali e non partecipatevi”. Mi sono rivolto verso le interpretazioni date dalla Chiesa. A partire dal V secolo ho trovato dappertutto queste parole capite come “condanna a parole del suo prossimo”, ovvero come maldicenza. È una convenzione comprendere queste parole unicamente come una condanna espressa verbalmente del prossimo; da qui la difficoltà: come si potrebbe non condannarlo?  È impossibile non condannare il male. È perciò che tutte le interpretazioni girano intorno a ciò che si può o non si può condannare. Si dice che per i servitori del culto queste parole non saprebbero essere comprese come un divieto di giudicare, che gli stessi apostoli avrebbero giudicato (Crisostomo e Teofilatto). Si dice che probabilmente queste parole del Cristo indicavano gli Ebrei che giudicavano il loro prossimo per dei piccoli delitti mentre essi stessi ne commettevano di grandi, ma da nessuna parte si fa riferimento ad istituzioni umane, a tribunali, né al rapporto che esiste fra questi tribunali e questa proibizione di condannare. Il Cristo li permette o li vieta? Non esiste risposta a questa questione naturale come se fosse evidente che dal momento che un cristiano si sia seduto su un seggio di giudice egli possa non solamente giudicare il suo prossimo ma anche ordinarne l’esecuzione.

Io proposi questa questione a dei teologi greci, cattolici, protestanti, ai sapienti delle università di Tubinga e della Scuola storica. Tutti i commentatori, anche i più liberi, udivano nelle parole un’interdizione di dire del male (…). I teologi dicono che negli Stati cristiani i tribunali devono esistere e che non contraddicono affatto la legge del Cristo. Quando ho notato ciò, ho dubitato della fondatezza di queste interpretazioni e mi sono orientato verso la traduzione delle parole “giudicare e condannare”, ciò da cui avrei dovuto cominciare.

Nell’originale, si trova la parola “(in greco) Kαταδικαζω” e “Kρινω”. La traduzione erronea della prima parola, nell’epistola di san Giacomo, dove egli la traduce in “dire del male”, non ha fatto che confermare i miei dubbi quanto alla giustezza di questa traduzione. Consultando le traduzioni dei Vangeli verso altre lingue per trovarvi le parole “Kρινω” e “Kαταδικαζω”, ho constatato che nella vulgata la parola condannare è ben tradotta da “condannare”; è lo stesso in francese; in slavone, si trova “condamner”; Lutero la traduce in “verdammen”, maledire.

Le differenze fra queste traduzioni non han fatto che rafforzare i miei dubbi. Mi sono domandato cosa potevano significare la parola greca “Kρινω” usata nei due Vangeli e la parola “Kαταδικαζω” usata da san Luca che, dopo gli specialisti scriveva in bel greco. Come avrebbe tradotto queste due parole un uomo che ignorasse tutto dei Vangeli e dei suoi commentari e che avesse avuto davanti gli occhi questa unica massima? Consultando un dizionario, ho visto che la parola “Kρινω” aveva molti significati diversi di cui uno abbastanza corrente, quello di condannare in un tribunale; anche di compiere una esecuzione, ma assolutamente no di dire del male. Ricollegandomi ad una concordanza del Nuovo Testamento, ho scoperto che questa parola era spesso impiegata nel senso di condannare in un tribunale, che aveva a volte il senso di confiscare, ma mai quello di dire del male. Ho dunque visto che questa parola poteva essere tradotta in maniere multiple ma che la traduzione che le attribuiva il senso di dire del male era la più lontana e la più inattesa.

Mi sono riportato sulla parola “Kαταδικαζω” associata senza dubbio alla parola “Kρινω”, che ha molti sensi, al fine di selezionare quello che l’autore voleva dare alla prima parola. Consultando il dizionario ho trovato che questa parola non aveva mai avuto significato altro da quello di “condannare ad un castigo”, o di “castigare”. Rapportandomi ad una concordanza del Nuovo Testamento, l’ho trovata nell’epistola di Giacomo, nel capitolo V, versetto 6, dove è detto: voi avete condannato ed ucciso un giusto. La parola “condannato”, quella famosa parola “Kαταδικαζω”, vi è utilizzato a proposito del Cristo che è stato condannato a seguito di un giudizio. E questa parola non ha altro senso in tutto il Nuovo Testamento, né in tutta la lingua greca.

Cos’era dunque? Avevo bellamente perso la ragione! Io stesso (così come tutti quelli che vivono nella nostra società per poco che essi abbiano riflettuto sulla sorte degli uomini) sono stato spaventato dalle sofferenze e dal male che apportano alla vita umana le leggi penali degli uomini; che sono un male per i condannati come per i giudici, a cominciare dalle esecuzioni di Gengis Khan a quelle della Rivoluzione e sino a quelle delle quali siamo stati testimoni.

Ogni uomo di cuore non ha potuto sfuggire a questa sensazione di spavento, di dubbio riguardo al bene, ascoltando solamente il racconto (senza parlare dello spettacolo) dell’esecuzione di uomini da parte di altri uomini, a colpi di verga, o con l’aiuto di una ghigliottina o d’una forca.

Il Vangelo, di cui noi consideriamo ogni parola come sacra ci dice chiaramente e senza giri di parole: avete avuto una legge penale, dente per dente. Ed io, io ve ne do un’altra: non resistete al malvagio; seguite tutti questi comandamenti, non rispondete al male con il male, ma fate il bene per tutti, perdonate tutti. E più lontano è detto senza tortuosità: non giudicate. Ed, affinché fosse evitato ogni malinteso riguardante queste parole, è stato aggiunto: non condannate a castighi nei tribunali.

(Segue. Le prime tre parti di questo saggio sono state pubblicate su “Proposta Radicale” n.8-9-10)

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